Come ho già detto i figli di nonna Maria non riescono a staccarsi dalla loro terra madre e si incontrano nei fine settimana, senza concordarlo, ma secondo me in virtù di un accordo tacito che li riunisce come una grande famiglia ogni volta che è possibile.
Siamo tutti presenti o quasi. Il cortile è pieno di auto, tanto che uno di loro suole parcheggiare di fianco alla casa vicino al bosco per non sottrarre altro spazio.
Papà non è di molte parole e se non c’è qualcuno che lo stimola, invogliandolo a parlare, non lo si sente; però c’è Aldo, il secondo marito di zia Caterina, che, insieme a zio Cech, vivacizza il banchetto; zia, a sua volta, parla con mamma e con gli altri presenti. Zio Cech, nonostante sia abituato a stare da solo, apprezza molto questi momenti e se li gode intrattenendosi con il fratello ma soprattutto con il cognato Aldo. Anche zia Marta, la moglie di Guido, non è di molte parole. Alcune volte siamo andati insieme a lei e i suoi due figli, i miei cugini Walter e Patrizia, a fare merenda sul prato, forse perché non si fidava di lasciare i suoi bambini in giro da soli con me e mio fratello solo di qualche anno più grandi di loro.
Ritornando al nostro pranzo, le donne si alzano per togliere i piatti sporchi dalla tavola e mamma va a preparare il caffè con la crema. Ad Aldo piace molto il caffè di mamma con la crema.
Lei utilizza il primo guizzo che fuoriesce dalla moka, ne versa pochi cucchiaini in una tazza e lo mescola con lo zucchero. Ne esce una crema color cappuccino che serve a dolcificare il caffè nella tazzina, rendendolo più gustoso e invitante.
In inverno accade spesso che ognuno pranzi e ceni nella propria cucina per non invadere lo spazio degli altri. Questo succede dopo che mamma e papà hanno riattato una stanza adibita a magazzino che si trova sul lato sinistro della casa. Ma in ogni caso zia Caterina e Aldo non rinunciano al caffè con crema di mamma e dopo il pranzo si incontrano per gustarlo insieme.
Non sono mai riuscita a chiamare Aldo, zio Aldo. Non so perché, dopotutto è stato il marito di zia Caterina per trent’anni.
Nessuno mi ha mai stimolata a farlo: né lui, né zia, né i miei genitori. Comunque per me è sempre stato Aldo. Un uomo di compagnia e con una grande voglia di lavorare per migliorare l'estetica e la funzionalità del complesso rurale. È diverso dai miei zii, un po’ schivi e scontrosi. Anche zia Caterina non è mai stata troppo affettuosa con noi nipoti. Una volta mi sgridò bruscamente e voltandosi verso di me mi impedì di seguirla sulla strada che porta verso l’orto. Mi disse che non dovevo andarle sempre dietro. Ma in realtà non era così. Da allora non la seguii più e mi staccai decisamente da lei, perché certe cose ai bambini si possono anche dire in un altro modo. Ma loro sono tutti così caratterialmente; non somigliano per niente a zio Fredo.
Non credo che gli incontri in quella casa delineassero sempre un quadro familiare rilassante e sereno; a volte si litigava per incomprensioni o per questioni non risolte, quando qualcuno decideva con un pretesto di vuotare finalmente il sacco. Credo che avesse ragione nonna quando già, prima che io nascessi, prendeva da parte mamma e, confidandole il suo affetto, le consigliava di non farle visita quando c’erano anche gli altri figli, non tutti nella stessa giornata, proprio perché non si creassero contrasti. Lei lo aveva capito, conosceva i suoi polli.
Sapeva che non ci sarebbe stato sempre vero accordo fra tutti.
Sono ormai convinta che le uniche persone che mi abbiano dato affetto sincero, lasciandomi un bel ricordo di sé e ispirandomi anche, inconsapevolmente, buoni sentimenti, siano stati nonna Maria e zio Fredo.
A proposito di zio Fredo: nonostante papà fosse il meno intraprendente in famiglia o considerato tale, a torto o a ragione, non desidero sapere, lui, il buon zio Fredo, mentre era ricoverato in ospedale aveva chiesto proprio a papà di andare a
casa a strappare una lettera che si trovava dentro il cassetto della credenza e che pareva importante per lui. Probabilmente sentiva che non sarebbe più ritornato. Papà non si ricorda più se lo ha fatto oppure no, comunque se non l’ha strappata lui ci avrà pensato qualcun altro, dato che questo documento non è mai venuto alla luce.
Mi sono sempre chiesta, da quando ne sono venuta a conoscenza, che cosa ci fosse di importante in quello scritto e perché non sia mai stato reso noto. Forse avrebbe danneggiato qualcuno? Indagando ho scoperto che il marito di magna Gina, la sorella di nonna Maria, lo zio acquisito di papà e dei miei zii, insieme a un altro parente che viveva nella frazione aveva convinto zio Fredo a scrivere una specie di testamento o di
ultime volontà in cui lasciava la sua parte di proprietà dei tetreni, che erano divisi al cinquanta per cento tra lui e mio nonno, a zio Cech che viveva da solo e si sostentava unicamente con il lavoro dei campi. Ma il buon e saggio zio Fredo capì che non era giusto ciò che lo avevano convinto a fare e cambiò idea in tempo. Forse è proprio vero che verso la fine della vita,
quando si arriva a fare i conti con se stessi e tutta l’esistenza passa dinnanzi come un cortometraggio, con una lucidità mai avuta prima si capisce ciò che è giusto e ciò che non lo è.
Nessuno ebbe quindi un vantaggio sugli altri e tutti, anche dopo la scomparsa di zio Fredo, chiamato da tutti Parin, hanno sempre continuato a lavorare nei limiti delle proprie capacità e possibilità per mandare avanti la terra e per zio Cech, anch’io!
Parin, in dialetto piemontese, significa padrino, e zio Fredo era il padrino di battesimo di zia Caterina, motivo per cui è passato alla storia con questo soprannome.
Ricordo che da bambina, appena arrivata, quando era la stagione del fieno e raggiungevo i miei zii e Aldo sui prati, non ricevevo un saluto ma l’invito a prendere in mano un rastrello o un bastone per girare il fieno come stavano facendo loro.
Tante volte e non dietro imposizione lo facevo, perché si sa che i bambini vogliono sperimentare ciò che fanno gli adulti, e mi venivano persino le piaghe alle mani. Quando succedeva che lo facessi notare, non pareva importante; anzi, mi sentivo rispondere che dopo le piaghe si sarebbero formati i calli! Mi sono sempre chiesta quale fosse il motivo che li spingesse a comportarsi così. Anche mamma, dopo aver visto l’espressione che aveva alcune volte il viso di zio Cech al nostro arrivo, tra il seccato e l’indifferente, diceva a papà che avrebbe voluto volentieri ritornare a casa. Ma era un diesel e quando finalmente si scaldava diventava socievole e cominciava a cambiare modi ed espressione. Questo succedeva soprattutto quando si saltavano uno o due fine settimana. Sembrava come se tutti dovessero bollare la cartolina; ma quando si ha una famiglia con bambini bisogna fare i conti anche con altro:
impegni, salute o semplicemente stanchezza.
Comunque nessuno è perfetto, però i bambini non devono essere coinvolti nei dissapori tra adulti. Neanche papà, del resto, e' un campione di savoir faire e simpatia e non l’ho mai visto fare un complimento o una carezza ai suoi nipoti, nonché miei cugini.
Ha vissuto anche lui racchiuso nel suo mondo di abitudini, di vita semplice e ripetitiva, con i suoi pregi e i suoi difetti. I difetti, purtroppo, si notano di più.
Penso di non essermi mai sforzata di capirli perché è noto che una persona introversa fatica ad aprirsi ad altre dello stesso tipo che non invitano a far emergere ciò che c’è in te. Ricordo,
però, che l’unico a degnarmi di qualche attenzione era mio cugino Giorgio: ogni tanto mi veniva a prendere a casa e, con il permesso di mamma e papà, mi portava con sé e la sua famiglia nella loro casa al mare, al cinema o a teatro. Ricordo ancora il film, “Il maggiolino matto”, che vidi con Nene e Dario e “L’oro del Reno” di Wagner al teatro Regio di Torino che mi piacque molto. Non ero mai entrata in un teatro prima di allora e la grandezza della platea, la bellezza dei lampadari, tutto quello che avevo intorno mi colpì enormemente, tanto che pensai
quanto fossero fortunati i miei secondi cugini ad avere due genitori così, che permettessero loro di fare esperienze per me sognate, ma che per loro erano chiaramente routine. Mi godetti i Nibelunghi dall’inizio alla fine. Eravamo da soli a teatro perché Giorgio e sua moglie Lavinia, nel frattempo, erano andati al cinema.
Nella loro casa al mare ci sono andata una sola volta; ad attenderci c’era già la loro instancabile e buonissima nonna materna Clara. A mio avviso era un esempio di dolcezza, abnegazione e sacrificio per i figli e i nipoti. Era una donna robusta ma fine, portava i capelli sempre raccolti e un grosso paio di occhiali da vista e, contrariamente ai modi gentili, la voce era possente e ben si adattava alla corporatura. Non
veniva in spiaggia con noi ma ci aspettava a casa con i suoi deliziosi manicaretti. Ricordo uno dei suoi tanti buoni piatti: gli gnocchi alla bava, ovvero ai formaggi fusi, e le uova ripiene di tonno e maionese.
Dario, il fratello di Nene, era legato a me, tanto da
minacciare, pochi anni più tardi, di non voler fare la Prima comunione senza la mia presenza. In quel periodo, nello stesso giorno, altri due cugini del mio ramo materno avrebbero ricevuto la Prima comunione. Dopo essere stati informati della situazione, i miei genitori decisero, sentito il mio parere favorevole, di affidarmi a zia Caterina e Aldo permettendomi di partecipare alla sua cerimonia. Non ho dovuto rifletterci affatto; l’unico impedimento avrebbero potuto pormelo i miei genitori, ma non fu così.
È incredibile come alcuni particolari rimangano immortalati nella memoria, tanto che ricordo persino che il pranzo di quel giorno, al ristorante, era tutto a base di asparagi.
Ho nostalgia di questi ricordi perché appartengono al periodo della fanciullezza, dove non ci sono ancora responsabilità e uno dei pochi pensieri che avevo era quello di rendere più felice una persona nel suo giorno di festa.
Dario è un bambino esuberante, vivace, sempre pronto a fare qualche scherzo o a pensarne qualcuno, ma molto bisognoso di affetto; un birichino affettuoso che a volte mi stupiva con i suoi scatti d’ira, soprattutto nei confronti della madre che lo sgridava e lo mortificava davanti agli altri e alla quale avrebbe voluto dare un po’ di cianuro o veleno per topi.
Credo che la sua rabbia poi rientrasse perché non l’ho mai creduto capace di pensare veramente ciò che diceva. Mio cugino Giorgio, suo padre, mediava, perché un genitore deve fare il cattivo e l’altro il buono e a lui toccava sempre la parte del buono. Non penso che fosse capace di fare il cattivo.
Insomma, Dario da adulto sarebbe stato un uomo da sposare.
Che spasso! Coccolone e morbido come un orso di peluche e scherzoso e giocherellone come un bambino. Così non ci si annoia mai! Ma la vita fa dei giri strani; a volte si beffa di noi, a volte premia e talvolta sembra punire. Conservo un buon ricordo di lui e di tutto ciò che abbiamo fatto insieme da bambini.
Soltanto zio Cech è rimasto a vivere in questa frazione collinare del cuneese, diventando col tempo sempre più solo, quasi un eremita, ma, poiché dotato di televisione, informato sui fatti del mondo. Gli altri, ormai sposati e con figli, sono
sempre meno dediti alla coltura di quella terra, se non durante i fine settimana o le vacanze estive. In quelle occasioni, io e i miei cugini convinciamo i genitori a lasciarci liberi e partiamo alla volta di imprese avventurose e spedizioni esplorative del
territorio circostante.
C’è un luogo che mi piace molto, ma da sola non mi ci reco mai. Partendo dal cortile della casa e percorrendo la strada sterrata, superata una piccola fonte, sulla destra, comincia un sentiero erboso posto più in alto rispetto alla sede stradale, in corrispondenza di un pozzo a guisa di casetta chiuso da una porticina in legno con un vistoso lucchetto. Incamminandosi su quel sentiero si attraversa un bosco fitto che si apre per un breve tratto alla vista per poi ritornare fitto. La strada sale dolcemente e conduce in un prato con una vasca in sasso piena d’acqua. In
quel punto si sente un odore intenso di menta e ortiche; è un profumo che provoca un pizzicore sotto il naso. Noi, giovani esploratori, ci guardiamo intorno e in assenza di particolari
rumori umani usciamo allo scoperto. Proprio a un passo dalla vasca c’è un frutteto di albicocche. Per me sono irresistibili, i frutti sugli alberi. Quelle albicocche, poi, hanno un gusto delizioso. È come trovarsi nel paradiso terrestre.
Facendo sempre attenzione a non farsi notare, continuiamo a incedere con passo felpato sull’erba asciugata dal sole estivo.
Qualche volta ci troviamo realmente da soli davanti a una grande casa vuota, però è successo che durante una spedizione siamo capitati nel bel mezzo di un banchetto nuziale. Pochi fanno caso alla nostra presenza e chi se ne accorge pare contento e ci invita a partecipare al rinfresco allestito all’aperto. Non lontano c’è una piccola chiesa, dove entriamo a curiosare. A me, ormai ragazzina, piace particolarmente, tanto da farmi
immaginare in abito bianco accanto al mio principe azzurro, davanti all’altare dove un piccolo e buffo prete di campagna ci sposa e in cui uno stuolo di invitati è costretto a stare anche sul
sagrato della chiesetta per assistere al matrimonio. Poi la nuvoletta svanisce quando qualcuno ci invita a cibarci di qualche tartina.
La strada del ritorno non è mai emozionante, a meno di non utilizzare il tempo per programmare
una nuova impresa, e il sito offre molti spunti anche a chi sia dotato di poca fantasia.
© Wilma Coero Borga Всички права запазени