Nonna è una donna esile ma forte che ha affrontato la vita nei campi nella sua casa in collina, accudendo da sola i suoi quattro figli dopo la morte prematura del marito, a soli quarantaquattro anni. Papà le somiglia forse più di tutti gli altri figli, e anche io
rassomiglio a nonna. La prima nipote di sesso femminile, chissà quali sentimenti ha suscitato in quella donna anziana che ha smesso di sognare o forse non ha mai potuto permetterselo.
Proprio Luigi, il più giovane dei quattro figli, ha lasciato la campagna per il lavoro in città e, a un’età non giovane per l'epoca, ha sposato una ragazza del sud Italia, genuina e solare che le è subito andata a genio. Ma per nonna andare a genio non significa fare smancerie, moine e complimenti. La vita l’ha un po’ indurita, però più di una volta ha detto alla nuora di amarla, e questo è moltissimo. In fondo, si sa che il Piemonte non eccelin sentimentalismi, e dunque dire a quella ragazza così diversa da lei “ti amo” dimostra un’apertura notevole; significa sbilanciarsi, sbrecciando un muro di apparente freddezza.
Nonna Maria si alza presto la mattina per mungere le
vacche. Talvolta è proprio lei a portare a piedi il bujon, un contenitore in metallo con i manici per caricarlo sulle spalle, pieno di latte ancora caldo, percorrendo strade sterrate e attraversando il bosco sino ad arrivare sulla via principale dove ha appuntamento con il marghé, il lattaio, la persona che si occupa di raccoglierlo presso le frazioni un po’ isolate. Sarà successivamente meta di aziende casearie.
Immagino la loro conversazione:
«Bundì, Maria, tut bin?»
«Bundì, Carlo, l’è si prest sta matin!»
«E chila, an campala giù dal let i soi fii?»
«Eh, i mei fii tegnan pa ausese prest… ma mi a ses ure i ciamu,
oh già.»
Poi saluta e ritorna sulla strada di casa perché lei non è di troppe parole. Vive dei prodotti della terra e dell’allevamento.
Si produce in proprio il necessario e si vende la restante parte, conducendo un’esistenza senza pretese e con molto sacrificio e fatica.
Sveglia i figli di buon’ora la mattina, a ses, set ure e, dopo la colazione, sono tutti impegnati, a seconda della stagione, a coltivare, seminare, tagliare l’erba, dissodare patate, raccogliere frutti, molare attrezzi, trasportare fieno, raccogliere funghi, cospargere di verderame le vigne e i frutteti e tutto rigorosamente a mano, se si eccettua la presenza di un trattore falcia erba provvisto all’occorrenza di un carro per trasportare attrezzi, fieno, frutta e altro.
Cucina benissimo la bagna cauda, un piatto tipico
piemontese altamente calorico e gustoso. Mamma ha imparato a cucinarla osservandola mentre cuoceva sulla stufa gli ingredienti. È un piatto semplice. È sufficiente lessare le verdure e mondare quelle che si possono consumare crude. Il cuore del cardo, tagliato a fettine sottili e immerso nella bagna,
ha un sapore prelibato e lo stesso dicasi per le patate bollite e il pane. L’intingolo si ottiene facendo sciogliere nell’olio le acciughe con l’aglio in un tegame dove, successivamente, si unisce la panna o il latte o entrambi. Ne esce un composto dal profumo intenso e invitante. Si lascia nel tegame al caldo sopra la fiamma e ogni commensale se ne serve riempiendo la propria scodella dove intingerà le verdure. Vedere un siciliano che apprezza questo piatto tipico piemontese è fantastico, ma lo è alltrettanto osservare un nordico gustare compiaciuto la pasta con le sarde! Prodotti della terra e del bosco insieme a quelli del mare, alle spezie, agli aromi forti e piccanti di una terra calda come la Sicilia che si uniscono in un abbraccio d’amore, arricchendo l’una e l’altra regione di “buon gusto”.
Il calore del focolare ha sempre unito la famiglia, soprattutto in passato, quando per essere felici bastava poco: un buon pranzo, prodotti genuini e la compagnia dei propri familiari.
Penso fortemente che il gusto sia dato dal produrre da sé il necessario per vivere, e a casa di nonna Maria succedeva così.
La toma è un esempio di sapore primordiale per me. Mi è sempre piaciuta e nonna me ne dava di nascosto da mamma e papà.
Si producono tante prelibatezze nella casa in mezzo alla natura: il vino, il burro, il formaggio, il salame, il pane, il sugo, i decotti, le marmellate. La farina per il pane è impastata con l'acqua dolce che proviene dalla sorgente. Tutto ciò rende la vita più gustosa e genuina, conferendo l’energia necessaria per affrontare il duro lavoro; uno scambio tra uomo e natura assolutamente alla pari. È sorprendente rilevare come per nonna e i suoi figli sia soltanto routine e quindi del tutto normale, così come la fatica quotidiana. Questa normalità per non dura troppo, qualcosa scatta nella mente dei suoi figli che li induce ad allontanarsi, appena raggiunta l’età adulta, da tutto
ciò, dalla loro madre e dalla loro casa natale. Per faticare di meno o per godere di un salario che li renda liberi e autonomi.
Anche il distacco però non è definitivo perché li aiuta da una parte a costruire il proprio futuro, mentre l’amore per le origini e la famiglia li terrà uniti. Una sorta di richiamo, in soccorso a zio Cech e nonna, rimasti gli unici abitanti della casa, per sopportare meglio la fatica del lavoro dei campi.
© Wilma Coero Borga All rights reserved.